La stazione paleolitica di Galceti (Prato)
di P. GAMBASSINI
Le pendici meridionali del Monteferrato, ripide in alto, si addolciscono scendendo e si modellano in una serie di rilievi, poco elevati sulla pianura alluvionale; in questa zona si trova la contrada di Galceti, sede di uno stanziamento umano preistorico.
I primi indizi di una frequentazione preistorica di Galceti si ebbero nel 1935, quando il prof. Renato Piattoli rinvenne alcuni frammenti di diaspro che apparivano come manufatti (1).
Successivamente, a distanza di una trentina di anni, il Gruppo Archeologico «A.C. Blanc» di Viareggio, durante una ispezione intorno a Prato, effettuò numerosi ritrovamenti di manufatti litici, i quali vennero segnalati in una breve nota (2) e attribuiti al Musteriano.
Le ricerche hanno avuto una ripresa, recente e di buon esito, da parte del Gruppo Archeologico Pratese, al quale si debbono i reperti più abbondanti e significativi (3). Lo studio di questi materiali è ancora in corso, unitamente all'esame dei manufatti trovati via via, durante nuove ispezioni sul terreno; così, per il momento, si possono fare delle considerazioni solo preliminari.
L'industria litica di Galceti è realizzata quasi esclusivamente su diaspro, e, in quantità molto subordinata, su selce. La grande predominanza del diaspro come materia prima si spiega con la presenza di un affioramento di diaspri rossi a poca distanza dalla stazione paleolitica.
I diaspri sono spesso associati alle ofioliti nell'ambito delle «argille scagliose» appenniniche, pertanto la presenza di rocce diasprine insieme alle pietre verdi del Monteferrato è un fatto normale per la geologia della Toscana. L'affioramento di Galceti si presenta come un livello di alcuni metri di spessore, intensamente fratturato, intercalato nella massa ofiolitica.
Una delle aree di maggior concentrazione dei manufatti dista non più di duecento metri dal livello dei diaspri, cioè da quella fonte di materia prima che necessariamente deve aver condizionato i paleolitici non solo riguardo allo strumentario litico, ma anche, si può ipotizzare, come causa concomitante dello stanziamento.
L'industria litica, non più collegata ad un contesto stratigrafico, si presenta sparsa su una superficie piuttosto vasta, entro la quale vi sono alcune aree di maggior concentrazione di reperti (ad es. presso il Tiro a segno e in località Margone), soprattutto dove le acque superficiali hanno più profondamente drenato la copertura di terreno. I manufatti raccolti sono per la maggior parte strumenti, mentre gli scarti di lavorazione sono relativamente pochi. Questo si osserva in genere nelle zone di abitazione; se viceversa la stazione di Galceti fosse stata utilizzata solo saltuariamente, per l'approvvigionamento del diaspro, vi si dovrebbero trovare molti rifiuti di taglio e pochi strumenti finiti.
La raccolta di Galceti conta alcune centinaia di manufatti. Gli strumenti finora esaminati appartengono per la maggior parte al gruppo dei denticolati (fig. 1, n. 12-21); si tratta in genere di schegge a ritocco semplice o, più raramente, erto. Gli incavi semplici sono ben rappresentati, e con essi in genere il ritocco marginale, il quale è frequentemente utilizzato anche per i raschiatoi denticolati. Sono da assegnare a questo gruppo anche alcuni denticolati carenoidi (fig. 2, n. 1 e 2), nonché dei blocchetti di diaspro modificati nella forma mediante un solo colpo di ritocco su un bordo spesso, in modo da ottenere un incavo soprelevato.
Numeroso è anche il gruppo dei raschiatoi (fig. 1, n. 1-11), che comprende in maggioranza schegge a ritocco marginale. Nei casi in cui il ritocco è profondo, ha tendenza a divenire erto; si osservano così alcuni raschiatoi a ritocco semierto (fig. 1, n. 1,9 e 10) molto simili a quelli di altre località toscane (ad es. S.Romano) dove questo carattere è molto diffuso. Più in generale,sia per i raschiatoi marginali che per quelli profondi, si può notare che il ritocco si estende per un piccolo tratto, e solo raramente interessa l'intero bordo della scheggia. Fra questi pezzi a ritocco parziale sono da evidenziare alcuni raschiatoi latero-trasversali, con la porzione ritoccata limitata ad un angolo distale della scheggia. Da un punto di vista tecnologico sono da segnalare alcuni talloni faccettati e un uso limitato della tecnica «levallois ».
Gli strumenti cui si è fatto cenno finora, rappresentano la componente tipo logicamente più arcaica dell'industria di Galceti; accanto ad essa figura una componente più evoluta che, pure in quantità limitata, ha un significato tipologico e cronologico di indubbia importanza. I pezzi che si possono assegnare a questa categoria sono essenzialmente troncature, becchi e strumenti a dorso .
Le troncature, in numero sensibile, sono rappresentate da tipi corti su scheggia, con ritocco in molti casi sommario (fig.2, n. 3-6). Frequentemente il ritocco erto non è esteso a tutto il bordo trasversale del pezzo, ma è solo parziale e limitato ad una estremità dello stesso bordo; altre volte pochi colpi di ritocco interessano solo l'area centrale distale, e determinano una troncatura parziale e sommaria a tendenza concava.
A questi tipi concavi si associa spesso un ritocco laterale, per determinare un becco su troncatura. I becchi, relativamente abbondanti, sono ricavati da schegge corte e spesse, in modo da risultare tozzi e robusti (fig. 2, n. 7-11). In qualche caso l'associazione di una troncatura concava con un ritocco bilaterale, dà luogo ad un becco gemello (fig. 2, n. 11).
Di particolare interesse è il gruppo degli strumenti a dorso abbattuto; si tratta di pochi elementi caratterizzati da dorsi sommari, spesso bipolari. Si riconoscono alcune rozze lame a dorso e una punta a dorso parziale. Quest'ultima, ricavata da una scheggia a cresta, ha un ritocco erto piuttosto incerto nell'area mediana, e via via più deciso verso l'apice, dove si oppone ai distacchi della cresta per formare una specie di dorso bipolare spesso, fortemente incurvato (fig. 2, n. 12).
E' da notare infine la presenza di alcuni grattatoi carenti; tra essi ve ne sono alcuni a fronte regolare, ed altri in cui il ritocco soprelevato, applicato sommariamente, determina una fronte a tendenza denticolata (fig. 2, n. 14).
In breve i caratteri più salienti dell'industria litica di Galceti sono: un'altra proporzione di denticolati e la presenza di dorsi e becchi a ritocco erto. Questi dati, soprattutto emersi con le nuove raccolte, servono a meglio precisare la precedente attribuzione al Musteriano.
Per quanto si può riscontrare sia in Toscana che, più in generale, in Italia, il forte aumento in percentuale dei denticolati marca la fase finale del Paleolitico medio; in questo senso l'industria di Galceti si pone almeno nel Musteriano finale. D'altra parte gli strumenti a tipologia più evoluta sopra visti, sono più caratteristici delle prime fasi del Paleolitico superiore. Sembra per ora di potere attribuire l'industria in esame ad un momento di passaggio tra il Musteriano e il Paleolitico superiore arcaico.
Da queste considerazioni deriva la notevole importanza del giacimento di Galceti, il quale viene a situarsi cronologicamente in uno spazio un po' oscuro della nostra preistoria. La fase di passaggio dal Paleolitico medio al Paleolitico superiore, accompagnata da una crisi profonda, rappresenta un grosso problema nell'ambito degli studi preistorici, specialmente quando vi sono pochissimi dati disponibili; è questo il caso dell'Italia, dove c'è un vuoto di dati per mancanza di reperti relativi al periodo in questione, e dove ogni giacimento che porti nuova luce in questo senso, va considerato molto importante.
Cercare elementi di confronto è di certo prematuro, ma già alcuni se ne possono notare tra la raccolta di Galceti e quelle di S. Romano e di Indicatore presso Arezzo e, soprattutto, con la stazione di S. Lucia nella valle del torrente Farma.
Ogni altra considerazione deve essere subordinata ad uno studio approfondito ed analitico dell'industria di Galceti, già iniziato, ed agli sviluppi delle ricerche sul terreno che il Gruppo Archeologico Pratese sta effettuando con lodevole e costante impegno.
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NOTE
(1) M. LOPES PEGNA - « Le origini di Prato » in Archivio Storico Pratese, a. XXXVI (1960), fase I-IV; S. NANNICINI - « Il territorio di Prato. Ambiente naturale e insediamenti umani », in Prato, storia e arte, a. XIII (1972), n. 33.
(2) G. FORNACIARI - « Attività del Gruppo di Ricerche Preistoriche ed Archeologiche "Alberto Carlo Blanc" di Viareggio, anni 1965-66 ». Atti Soc. Toscana di Scienze Naturali, Serie A, vol. LXXIII, fasc. 2, Pisa 1966.
(3) P. GAMBASSINI - « Prato » in Notiziario, Paleolitico, Toscana, Rivista di Scienze Preistoriche, vol. XXVII, fase 2, Firenze 1972.
Da “Il Monteferrato - (Atti del 1° convegno di studi sul Monteferrato) ” Centro di Scienze Naturali – Edizioni PACINI-PISA
Aspetti archeologici del Monte Ferrato (Prato)
di F. NICOSIA
I ritrovamenti preistorici o protostorici del Monte Ferrato sono stati esaurientemente illustrati da chi mi ha preceduto. Vorrei ora presentare un altro piccolo gruppo di dati, prima di passare a considerazioni di carattere più generale.
L'archeologia, infatti, come tutte le scienze storiche, non si prefigge come scopo la soluzione dei problemi, bensì il progressivo ampliamento delle problematiche, che si avvale della soluzione dei problemi specifici, sì che la risposta a ciascuna questione si risolva nella impostazione di altre questioni.
Fra il materiale raccolto dal Gruppo Archeologico Pratese nelle zone di Monte Chiesino e di Galceti c'è un certo numero di frammenti riferibili al tardo Medioevo, dei quali alcuni sono abbastanza caratterizzati da poter essere illustrati (tav. 1 e 2) (1).
MC (= Monte Chiesino) 13+14. Porzione di orlo e parete di scodellone o catino, ricomposta da due frgg. Impasto rossiccio (grigioscuro in frattura), a grana media, con inclusi di diallaggio: la presenza di questo minerale, tipico del M. Ferrato, dimostra che il vaso è stato fatto in loco, con argilla locale; l'osservazione è confermata dall'analisi spettrografica comparata dell'argille del frammento e di un campione di terra prelevato dalla zona di rinvenimento (2). La parete del vaso è alquanto sottile (mm 8), in rapporto al diametro del vaso (calcolabile a circa 40 cm); l'orlo fortemente ingrossato (mm 30) contribuiva a rafforzare il vaso e doveva tornar utile al momento della sfornatura: il vaso, infatti, è realizzato mediante l'uso di una matrice decorata ad incisione, in modo che il prodotto finale risulta decorato a rilievo. Della decorazione si conserva la parte sommitale di una serie di tremoli verticali, ricorrenti sotto l'orlo. Appartiene ad una classe individuata di recente, con gli scavi della chiesa di S. Pietro a Figline, e si colloca tra il XIV e gli inizi del XV sec. d.C. (3).
MC 4+5. Porzione di orlo e parete di olla. Impasto color cuoio di buona argilla, con discreta quantità di inclusi (prevalentemente diaspro) e qualche alveolo da combustione di pagliuzze. Non è stata trovata la presenza del diallaggio fra gli inclusi, né quella delle tracce di nichelio nello spettro: si ritiene quindi trattarsi di prodotto «industriale» (sono ben nette le rigature del tornio veloce), di fabbricazione non locale. Pareti assai sottili (spess. mm 4), collo leggermente espanso, orlo ingrossato (mm. 9); il diametro all'orlo è calcolabile in 17 cm. L'unica decorazione conservata è una sottile banda orizzontale di colore biancastro opaco, nella parte inferiore del frg MC5, per il resto la superficie è nuda. Databile fra il XV e il XVI sec. d.C.(4).
GAI (= Galceti I) 171. Frammento di ansa a nastro verticale,con due scanalature longitudinali alquanto profonde. Argilla fine, di colore rosastro tendente esternamente al bruno (trattandosi di un frammento raccolto in superficie, tale colorazione parziale può essere dovuta, oltre che ad irregolarità di cottura, o a particolari funzioni - cottura di cibi -, a processi riduttivi occasionali, avvenuti durante la giacenza sul suolo (incendi) sono presenti, fra gli inclusi, frammenti calcarei e schegge micacee; il nichelio è assente dallo spettro (ma, trattandosi normalmente di presenza in tracce, l'assenza non è probante per escludere la fabbricazione locale). Dell'ansa si conserva il tratto superiore orizzontale, con attacco al vaso (collo o parete), nonché l'inizio della curvatura, che non sembra fosse molto accentuata. Potrebbe aver fatto parte da un vaso da cucina (tegame o pentola). Databile probabilmente fra il XIV e il XVI sec d.C.
I due frammenti provenienti dal Monte Chiesino sono da connettere con la presenza in quel luogo di un piccolo edificio di culto; il frammento di Galceti, pur non essendo isolato, non può essere certo indicativo come testimonianza di un grosso insediamento.
Un centro abitato di notevole importanza è invece attestato a Figline (pendice nord-orientale del M. Ferrato), centro che prende il nome dalla presenza di fabbriche di fittili (lat. figlinae); qui, negli scavi sotto la Chiesa, sono stati recuperati frammenti di numerosi catini del tipo del frg MC 13+14, nonché frammenti delle relative matrici. Poiché sappiamo che il MC 13+14 è fabbricato con terra del M. Ferrato, si può asserire con certezza che il catino al quale questo frammento apparteneva fu fabbricato a Figline (5).
Possiamo dunque affermare che il M. Ferrato fu sede di attività umane, con centro principale a Figline, negli ultimi secoli del Medioevo.
Passiamo ora a considerazioni più generali.
Il materiale archeologico attesta, come si è visto, la presenza di attività umane nell'area del M. Ferrato in tre distinti periodi: al trapasso fra il Musteriano e il Paleolitico Superiore, nell' Età del Bronzo Tarda e Finale, nel tardo Medioevo.
Mentre non siamo in grado di affermare con certezza che i ritrovamenti paleolitici siano da riferirsi ad un vero e proprio insediamento, l'esistenza di insediamenti è certa per l'Età del Bronzo e per il Medioevo; per l'Età del Bronzo, anzi, va sottolineata la notevolissima quantità di frammenti, che denuncia la presenza di tre insediamenti assai frequentati (contemporaneamente o in rapida successione), vicinissimi fra loro, e ciò è ancor più notevole, ove si ricordi la rarità estrema di insediamenti del Tardo Bronzo (stando ai trovamenti noti) nel territorio del medio corso dell'Arno. Dunque il M. Ferrato presentava condizioni adatte per !'insediamento umano forse intorno al 35.000 a.C., certamente intorno al 1000 a.C., infine, almeno parzialmente, sul finire del Medioevo. Nessuna testimonianza ci è nota per i periodi intermedi.
Pur nella coscienza del pericolo insito in ogni tentativo di trarre conclusioni generali dall'esame di dati archeologici parziali e sempre suscettibili di profonde variazioni legate a possibili successivi ritrovamenti, pensiamo tuttavia di dovere proporre l'interpretazione dei dati finora disponibili.
Ci chiediamo dunque quali siano state le condizioni determinanti del sorgere degli insediamenti sul M. Ferrato e quali le cause dei lunghissimi periodi di abbandono.
L'insediamento medievale di Figline, con vita continua fino ai nostri giorni, sembra essersi formato intorno all' antichissima chiesa di S. Pietro, sorta lungo la strada per Cantagallo e Montepiano; la sua crescita deve essere stata favorita dalla buona esposizione, dalla disponibilità di buona terra coltivabile e dall' attività delle fornaci, che in certi periodi esportarono abbastanza largamente i loro prodotti (6). E' all'area d'influenza di questo abitato che vanno riferiti, sia il piccolo insediamento del M. Chiesino, sia il trovamento di Galceti.
Il fatto che nell'area manchino, per ora, testimonianze di vita alto-medievale può spiegarsi con la gravissima crisi demografica di quel periodo.
Diversamente si pone la questione per gli insediamenti protostorici. Per spiegare il loro sorgere potrebbe apparire allettante pensare allo sfruttamento di filoni di minerali rameosi, presenti sul M. Ferrato (si ha notizia di coltivazione di tali filoni nel secolo scorso): si tratta però di filoni probabilmente troppo poveri di metallo per essere stati utilizzabili con la primitiva tecnologia dell'epoca; inoltre, se gli insediamenti fossero sorti per lo sfruttamento dei minerali di rame, non si spiegherebbe il loro abbandono alla fine dell'età del Bronzo: bisogna infatti tener presente che la cultura «protovillanoviana» (facies finale dell'età del Bronzo) è seguita dalle prime facies dell'Età del Ferro (villanoviano e orientalizzante), che sono caratterizzate, fra l'altro, dall'intenso sfruttamento delle miniere, sia di rame, sia di altri metalli (7). Se sul M. Ferrato ci fossero stati insediamenti minerari, essi avrebbero acquistato maggiore importanza durante l'Età del Ferro, tanto più che in tale epoca il Valdarno Medio è fittamente abitato, anzi sorgono e fioriscono a breve distanza dal M. Ferrato due grossi centri abitati, quello di Quinto Fiorentino (circa 15 Km a Sud-Est) e quello di Artimino (circa15 Km a Sud). Il fatto che non si sia trovato finora nessun manufatto dell'Età del Ferro nell'area del Monte Ferrato induce ad escludere (8) non solo la presenza di insediamenti, ma perfino la frequentazione e lo sfruttamento minerario dell'area per tutto il primo millennio a.C.
Dobbiamo dunque cercare fuori dell'ambito delle attività minerarie e metallurgiche le circostanze determinanti per la nascita e per l'abbandono degli insediamenti umani del Tardo Bronzo sul Monte Ferrato.
Abbiamo notato il fenomeno dello spostamento delle sedi umane, in coincidenza con il passaggio dell'Età del Bronzo a quella del Ferro, per l'area in esame (abbandono degli insediamenti del Monte Ferrato e stanziamento in luoghi prima deserti, come Quinto ed Artimino). Va segnalato che il fenomeno dell'abbandono di insediamenti alla fine dell'Età del Bronzo accompagnato o seguito (9) dal sorgere di nuovi abitati in aree vicine, non appare limitato al Monte Ferrato.
Presso la stazione ferroviaria di Dicomano, nell'area di un cantiere di costruzione (10), stanno venendo in luce abbondanti materiali del periodo finale dell'Età del Bronzo (è in corso lo scavo di un ampio focolare e dell'area circostante). Lo strato archeologico è sigillato da uno strato alluvionale spesso più di un metro.
Anche l'insediamento di Dicomano sembra dunque essere stato abbandonato alla fine dell'Età del Bronzo. A breve distanza (appena cinque chilometri a Nord-Ovest) si sviluppa un importante insediamento d'Età del Ferro a Poggio Colla (Vicchio).
Questo mutamento di sedi al trapasso fra l'Età del Bronzo e quella del Ferro non implica necessariamente mutamenti etnici, così come non li esclude: è anzi normale che un eventuale gruppo invasore si stabilisca proprio nella sede strappata ai predecessori, purché essa continui ad essere adatta all'insediamento.
Rimane possibile una spiegazione, che mi pare l'unica logica: che il Monte Ferrato sia stato occupato durante l'Età del Bronzo (11) da gruppi umani che vi trovarono un ambiente particolarmente favorevole, tanto da prosperare e lasciare notevoli resti della loro attività. Alla fine dell'età del Bronzo le condizioni ambientali devono essere cambiate tanto profondamente da provocare l'abbandono degli insediamenti. Alle cause naturali del dissesto ambientale (si pensi allo strato alluvionale di Dicomano) potrebbe essersi aggiunto, nel caso del Monte Ferrato, il notevole carico demografico dovuto al prosperare degli insediamenti umani, con il conseguente eccessivo sfruttamento delle riserve naturali.
E' comunque molto probabile che il Monte Ferrato, attualmente quasi completamente deumificato (nelle tre aree archeologiche i frammenti fittili quasi prevalgono quantitativamente rispetto alla terra!), abbia avuto in altre epoche aspetto ben diverso: mi riferisco non solo agli insediamenti dell'Età del Bronzo e alla vita medievale e rinascimentale (accompagnata quest'ultima, come risulta da documenti d'archivio, da ricco pascolo), ma anche all'abbondanza di fauna, che attrasse sulle sue pendici i cacciatori paleolitici.
Vorrei segnalare che, se realmente l'abbandono del Monte Ferrato intorno al 1000 a.C. fosse stato causato da dissesto ambientale,i due millenni circa di abbandono dell'area prima della rioccupazione medievale ci fornirebbero una misura, spero pessimistica, per calcolare i tempi naturali necessari alla ricostruzione ecologica di un'area dissestata.
Rimane da augurarsi che l'attuale civiltà, capace di arrecare all'ambiente danni indubbiamente più gravi e rapidi, che non le civiltà passate, riesca a produrre mezzi di protezione e di ravvivamento più rapidi di quelli che la natura può mettere in atto da sola.
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NOTE
(1) Ringrazio il Soprintendente alle Antichità d'Etruria, G. Maetzke, per aver permesso di eseguire nell'ambito della Soprintendenza la documentazione e le analisi relative a questa relazione, nonché per il costante incoraggiamento e consiglio; i disegni della tav. I sono opera di G. Ugolini, la fotografia della tav. II è di R. Pecchioli, le analisi spettrografiche e la loro interpretazione si devono al Dr. M. Ronchi e a M. Miccio; il Gruppo Archeologico Pratese non solo mi ha messo a disposizione i reperti, ma ha anche eseguito su mia richiesta alcune ricognizioni. A tutti costoro va la mia gratitudine.
(2) V. in questo volume, L. SARTI MARTIN!.
(3) V. G. MAETZKE, Una fabbrica di ceramica d'uso, in F. GURRIERI - G. MAETZKE, La Pieve di Figline di Prato, Prato, 1973, p. 99 ss.
(4) Cfr. T. MANNONI, La ceramica d'uso comune in Liguria prima del secolo XIX (prime notizie per una classificazione), in Atti del III Convegno Internazionale della Ceramica, Savona, 1970, p. 314, tav. VI, B.
(5) V. MAETZKE, Op. cit., p. 101 s.
(6) V. ID., ibid., n .106; si aggiunga qualche frammento di Signa (rinv. Gruppo Archeologico Signese).
(7) Per la letteratura fondamentale sull'argomento fino al 1962, v. G. GIACOMELLl, Studi Etruschi, Indici dei volumi l-XXX, p. 34 ss; si aggiunga ora FR.-W. VON HASEK, Zum Fragment eines orientalischen Bronzefltigels aus Vetulonia, in Roem. Mitt. 79, 1972, pp. 155 ss; J. BODECHTEL, Bemerkungen zur Uebersichtskarte der Erzlagerstatten in der Toskana, ibid., p. 162 ss.
(8) Naturalmente, questo «argumentum e silentio» rimane suscettibile di smentita a causa di sempre possibili nuove scoperte; ma la serietà con cui sono state condotte le ricognizioni del Gruppo Archeologico Pratese consente una certa sicurezza, almeno per quanto riguarda i reperti di superficie .
(9) Solo un'esplorazione completa, che raggiunga i livelli più antichi dei centri dell'Età del Ferro potrà chiarire il preciso rapporto cronologico con l'abbandono delle sedi del Bronzo finale.
(10) Ritengo doveroso ricordare che il Sig. Gino Rosselli, titolare dell'impresa costruttrice, ha fermato spontaneamente i suoi lavori, per consentire l'esplorazione archeologica dell'area.
(11) Dato che i reperti di cui disponiamo sono stati raccolti soltanto in superficie (e ciò torna a onore della serietà del Gruppo Archeologico Pratese, che ha resistito alla facile tentazione di eseguire operazioni di scavo), non è possibile,per ora, precisare l'epoca iniziale degli insediamenti.
Da “Il Monteferrato - (Atti del 1° convegno di studi sul Monteferrato) ” Centro di Scienze Naturali – Edizioni PACINI-PISA
il castelliere preistorico del Monte Chiesino
del GRUPPO ARCHEOLOGICO "L'OFFERENTE"
Sulla vetta del Monte Chiesino, la più alta delle tre cime che caratterizzano la struttura montuosa del Monteferrato (m. 420), emergono interessanti vestigia di un’ antico castelliere risalente all’età del Bronzo Finale.
I Castellieri erano insediamenti fortificati dell’ età del Bronzo e del Ferro, generalmente situati in montagna o in collina, in posizioni cioè facilmente difendibili, e costituiti da una o più cinte murarie di varie conformazioni perimetrali, entro le quali prendeva forma l’abitato.
Il castelliere del Monte Chiesino si sviluppa su 3 cerchie murarie concentriche, all’interno delle quali le nostre ricognizioni hanno portato al ritrovamento di terrecotte risalenti all’epoca summenzionata.
La posizione strategica della struttura appare in tutta la sua evidenza, a guardia della piana Firenze-Prato-Pistoia e delle valli dei torrenti Bagnolo, Bardena e del fiume Bisenzio.
Splendida la vista del paesaggio sottostante e suggestivi i tramonti. Si possono ammirare i resti di una piccola chiesa di chiara origine medievale (da qui il nome della località). Esiste un documento datato intorno all’anno 1000 d.C. dove si attesta che lo Spedale di Prato donava dei beni agli eremi del Monte Chiesino.